L'alcova d'acciaio, 2014

Umberto Cavenago
Acciaio CorTen
380 × 220 × 420 cm

L’alcòva d’acciaio di Umberto Cavenago

È “L’alcòva d’acciaio”, romanzo in cui Filippo Tommaso Marinetti racconta la sua esperienza bellica alla guida dell’autoblinda Lancia-Ansaldo "1Z" durante la prima guerra mondiale, a ispirare l’installazione di Umberto Cavenago.
L’opera reinterpreta in chiave antibellica l’innovativo mezzo d’assalto celebrato da Marinetti in nome del mito macchinista, proprio del futurismo. L’alcòva d’acciaio di Umberto Cavenago è un possente veicolo in Cor-Ten, spoglio di qualsiasi proposito belligerante e costruito con volumi solidi, geometricamente netti. Dissimulata in un bosco che cresce e si infittisce, è destinata a essere sempre più nascosta e apparentemente inespugnabile: un riparo perfetto dove rifugiarsi nel silenzio.

Umberto Cavenago nasce a Milano nella seconda metà del ‘900.
La sua ricerca fonde la passione per la cultura artistica e la cultura del progetto; i suoi interventi, sempre relazionati con lo spazio sia architettonico che naturale, stabiliscono un dialogo formale e destabilizzante in un rapporto anticelebrativo e mai definitivo. 
Lavora con i più diversi materiali con l’utilizzo delle attuali tecnologie digitali.

I modi costruttivi adottati da Umberto Cavenago non provengono dalla prassi artistica, bensì dal mondo industriale: studio di fattibilità, progetto, scelta dei materiali, preventivo, messa in opera. Un sistema di approccio che sembra accomunare Cavenago all’industrial designer, ma che racchiude un tranello: egli non progetta un prototipo per la realizzazione in serie, né lo introduce nel ciclo produttivo.
Egli si serve dell’approccio descritto per realizzare un’eresia: il pezzo unico, quell’opera d’arte “originale” che nega - in virtù della sua non replicabilità - proprio ogni possibile legame con la cultura del progetto.
Umberto Cavenago trasforma la ruota da protesi motoria a strumento per la modificazione e percezione dell’arte tridimensionale, creando uno spazio consolidato, ma “trasportabile”, una caratteristica che mette in crisi il caposaldo della prassi artistica che vuole l’osservatore in contemplazione di un’opera concepita in maniera immobile.

Molte opere appaiono come vere e proprie semplificazioni in chiave minimal degli oggetti "originali" ma completamente privati di ogni meccanica e quindi ridotte di funzione al loro limite semantico: una sorta di riverbero metafisico degli oggetti di produzione seriale.
Oltre al rapporto tra il suo spazio interno e l’osservatore esiste una relazione tra l'oggetto e l'ambiente dove è collocato. Lo spazio architettonico è oggetto di un'attenta e sistematica indagine. Molte sono le opere pensate come elementi di misurazione dello spazio e nello stesso tempo elementi di destabilizzazione dello stesso.

L'alcova d'acciaio, 2014

Umberto Cavenago
Acciaio CorTen
380 × 220 × 420 cm

L’alcòva d’acciaio di Umberto Cavenago

È “L’alcòva d’acciaio”, romanzo in cui Filippo Tommaso Marinetti racconta la sua esperienza bellica alla guida dell’autoblinda Lancia-Ansaldo "1Z" durante la prima guerra mondiale, a ispirare l’installazione di Umberto Cavenago.
L’opera reinterpreta in chiave antibellica l’innovativo mezzo d’assalto celebrato da Marinetti in nome del mito macchinista, proprio del futurismo. L’alcòva d’acciaio di Umberto Cavenago è un possente veicolo in Cor-Ten, spoglio di qualsiasi proposito belligerante e costruito con volumi solidi, geometricamente netti. Dissimulata in un bosco che cresce e si infittisce, è destinata a essere sempre più nascosta e apparentemente inespugnabile: un riparo perfetto dove rifugiarsi nel silenzio.

Umberto Cavenago nasce a Milano nella seconda metà del ‘900.
La sua ricerca fonde la passione per la cultura artistica e la cultura del progetto; i suoi interventi, sempre relazionati con lo spazio sia architettonico che naturale, stabiliscono un dialogo formale e destabilizzante in un rapporto anticelebrativo e mai definitivo. 
Lavora con i più diversi materiali con l’utilizzo delle attuali tecnologie digitali.

I modi costruttivi adottati da Umberto Cavenago non provengono dalla prassi artistica, bensì dal mondo industriale: studio di fattibilità, progetto, scelta dei materiali, preventivo, messa in opera. Un sistema di approccio che sembra accomunare Cavenago all’industrial designer, ma che racchiude un tranello: egli non progetta un prototipo per la realizzazione in serie, né lo introduce nel ciclo produttivo.
Egli si serve dell’approccio descritto per realizzare un’eresia: il pezzo unico, quell’opera d’arte “originale” che nega - in virtù della sua non replicabilità - proprio ogni possibile legame con la cultura del progetto.
Umberto Cavenago trasforma la ruota da protesi motoria a strumento per la modificazione e percezione dell’arte tridimensionale, creando uno spazio consolidato, ma “trasportabile”, una caratteristica che mette in crisi il caposaldo della prassi artistica che vuole l’osservatore in contemplazione di un’opera concepita in maniera immobile.

Molte opere appaiono come vere e proprie semplificazioni in chiave minimal degli oggetti "originali" ma completamente privati di ogni meccanica e quindi ridotte di funzione al loro limite semantico: una sorta di riverbero metafisico degli oggetti di produzione seriale.
Oltre al rapporto tra il suo spazio interno e l’osservatore esiste una relazione tra l'oggetto e l'ambiente dove è collocato. Lo spazio architettonico è oggetto di un'attenta e sistematica indagine. Molte sono le opere pensate come elementi di misurazione dello spazio e nello stesso tempo elementi di destabilizzazione dello stesso.

L'Alcova d'acciaio di Umberto Cavenago, vista dal cielo nel giorno in cui ospita ZWANG, una videoinstallazione di Carlo Dell'Acqua. Ripreso con Dji Phantom 3. Umberto Cavenago's "Steel Alcove", filmed from the sky in the day it hosts ZWANG, a video-instal
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